Il certificato medico rappresenta la forma più diffusa di documentazione dell’attività medica
I significati ed i contenuti del certificato medico,genericamente inteso,sono esaustivamente e al tempo stesso sinteticamente indicati dal Barni, che definisce tale atto come «testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili,la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo e della società, aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa …»
Dai contenuti di tale definizione deriva che è la valenza giuridico-sociale di un certificato a determinarne il primo fondamentale requisito,la sua veridicità,intesa come piena aderenza alla realtà biologica constatata nei suoi contenuti sostanziali. Tale requisito implica che la certificazione di qualsivoglia condizione deve sempre e comunque essere preceduta dalla valutazione clinica del paziente,e che il dato clinico,di rilevanza oggettiva,della cui realtà il medico potrà essere chiamato a rispondere,deve essere tenuto ben distinto dal sintomo lamentato e da eventuali ipotesi diagnostiche e/o prognostiche formulate,in quanto l’elemento caratterizzante della certificazione è rappresentato dal contenuto tecnico-biologico,che ne limita i settori di interesse e ne determina la esclusiva pertinenza medica.
I difetti di verità di un certificato possono riguardare,secondo la previsione della norma penale,il suo contenuto concettuale (cosiddetto «falso ideologico »,ex art.481 cp),quando vengano affermati fatti o condizioni inesistenti,ovvero il suo aspetto formale (cosiddetto «falso materiale »,ex.art.485 cp),che può risultare contraffatto in ogni sua parte.
In ordine al problema della falsità ideologica,è bene sottolineare che in un certificato correttamente compilato non dovrà mai mancare una netta distinzione dei reperti obiettivi constatati dalla diagnosi e dalla eventuale prognosi formulata,ancorché fondate sui suddetti rilievi.
Una contestazione di veridicità potrà esclusivamente attenere i dati obiettivi,posto che diagnosi e prognosi rappresentano elaborazioni tecnico-concettuali alle quali non potrà essere mosso il rilievo di falso anche quando,alla luce di elementi conoscitivi successivamente acquisiti,dovessero risultare diverse da quelle certificate.
Alcune eccezioni possono derivare da pareri diagnostici/prognostici che,sulla base dei parametri clinici rilevati,risultino infondati al punto da non potersi correlare a un semplice errore interpretativo e/o valutativo,ovvero laddove venga riportata nel documento la sola diagnosi/prognosi ma non i dati obiettivi su cui tali giudizi sono stati fondati.
Il requisito della veridicità non può essere disgiunto da quello della chiarezza,in modo che la certificazione risulti comprensibile anche a chi non dovesse possedere una specifica preparazione tecnica. È pertanto necessario,sul piano lessicale,evitare abbreviazioni e acronimi,e,qualora non fosse utilizzata la dattiloscrittura, impiegare una grafia chiara,di pronta e facile leggibilità.
Nel certificato dovranno essere anche chiaramente indicati il nome e cognome e le eventuali qualifiche del certificante,il nome e cognome del paziente cui è riferita la certificazione,la data di rilascio,la firma di chi lo ha redatto. Nell’ambito dell’attività certificativa si distinguono classicamente certificati obbligatori e facoltativi.
I primi sono nella sostanza quelli la cui esibizione consente l’esercizio di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo e sono previsti da specifiche normative. I secondi hanno in genere la finalità di attestare,nei confronti di Enti pubblici o privati,lo stato di salute del richiedente che spontaneamente li esibisce al di fuori di ogni previsione di legge.
Tale distinzione perde tuttavia rilievo sostanziale alla luce di quanto previsto dal Codice di Deontologia Medica,che all’art.22 afferma «…il medico non può rifiutarsi di rilasciare direttamente al cittadino certificati relativi al suo stato di salute »